COMUNITÀ PASTORALE
VALLE ALBANO
Il vescovo ha nominato Don Ivan Manzoni parroco anche di
Garzeno, Catasco, Germasino e Stazzona
e responsabile della Comunità pastorale Valle Albano
costituita da Dongo e dalle suddette parrocchie.
Dongo oratorio. Aperture:
Domenica 24 novembre: 14:30 - 16:30
Stazzona oratorio. Aperture:
La domenica dalle 14:30 alle 15:30 prove della recita di Natale, poi aperto fino alle 17:00
Per informazioni sul giubileo ado/giovani e iscrizioni contattare
don Francesco 351 667 6102
I tre filtri della comunicazione
Nella Grecia antica Socrate era apprezzato da tutti per la sua saggezza. Si racconta che un giorno incontrasse un conoscente che gli disse: ”Socrate, sai che cosa ho appena sentito di un tuo studente?”.
”Aspetta un momento” rispose Socrate. “Prima che tu me lo dica vorrei che tu sostenessi un piccolo esame che è chiamato “Esame dei tre filtri”.
“Tre filtri?”
“Esatto,” continuò Socrate.
“Prima che tu mi parli del mio studente, filtriamo per un momento ciò che stai per dire”.
1° filtro: Filtro della Verità
“Ti sei accertato al di là di ogni dubbio che ciò che stai per dirmi è vero?”.
”No” disse l’uomo “in effetti me lo hanno raccontato”.
”Bene,” disse Socrate. “quindi tu non sai se sia vero o meno”.
2° filtro: Filtro della Bontà
“Ciò che stai per dirmi sul mio studente è una cosa buona?”.
“No, il contrario”.
“Allora,” Socrate continuò “tu vuoi dirmi qualcosa di male su di lui senza esser certo che sia vero?”.
L’uomo si strinse nelle spalle un po’ imbarazzato.
3° filtro: Filtro dell’Utilità
Socrate proseguì: ”Puoi ancora passare l’esame perché c’è il 3° filtro, il Filtro dell’Utilità.
Ciò che vuoi dirmi circa il mio studente mi sarà utile?”.
”Veramente… non credo”.
“Bene,” concluse il Saggio “se ciò che vuoi dirmi non è Vero, non è Buono e neppure Utile, perché me lo vuoi dire?”.
Centro di ascolto vicariale
Il Centro di Ascolto è un’espressione della comunità cristiana e della propria testimonianza di fede.
È uno strumento che la comunità si dà per ascoltare coloro che si trovano in difficoltà.
L’ascolto è lo stile, il modo di essere, che qualifica l’attività del Centro d’Ascolto e che racchiude in sé le motivazioni profonde che ne richiamano la dimensione evangelica. Così facendo il Centro di Ascolto si colloca tra quegli strumenti operativi che aiutano a capire che la funzione pedagogica della Caritas non è una questione teorica ma deve realizzarsi in una pratica coerente e credibile di servizio.
Dalla comunità il Centro di Ascolto riceve il mandato dell’ascolto dei poveri e ad essa riporta le richieste dei poveri, ricoprendo un ruolo pastorale attraverso il quale si offre una risposta concreta alle persone e si stimola la solidarietà e la corresponsabilità di tutta la comunità nel servizio verso il prossimo.
È il luogo, la cui funzione è quella di incontrare, accogliere, ascoltare e prendere in carico una persona che vive una situazione di fragilità sociale, economica e culturale rispettando, senza pregiudizi e prevaricazioni, le storie di vita incontrate.
Anche nel nostro vicariato è presente, a Gravedona, un centro di ascolto portato avanti dall’opera volontaria di alcune persone. Le richieste sono tante e le forze poche; pensaci...essere volontario del Centro di ascolto potrebbe essere un modo per far fruttificare i talenti che abbiamo. Il centro di ascolto si trova in via Don P. Pedroli 1 (piazzale della chiesa) Gravedona ed Uniti – Fraz. Consiglio di Rumo (CO), Tel. 0344 81266, Email casaincarita@gmail.com, orari segreteria: Martedì 14.00 – 15.30, Sabato 10.15 – 11.45.
Domenica 9 giugno durante la S. Messa delle ore 18:00 in Santuario a Dongo alcuni volontari del Centro d’Ascolto porteranno la loro testimonianza.
È tempo di….. (Stefano Bucci)
Siamo al cuore di questa serie di riflessioni sulla Parrocchia. Una domanda, però, ha segnato questo percorso fin dai suoi primi passi: cosa c’è che non va? Insomma, quando si affronta la questione della Parrocchia, pur avendo chiari i suoi fondamenti, sembra sempre di trovarsi alle prese con una “coperta corta”. Come fare per rendere missionaria una istituzione nata per la conservazione dell’esistente?
(….) Ripercorriamo ora i fondamenti della Parrocchia, analizzati nell’articolo precedente alla luce del dato biblico fondativo (Gv 13,34-35), per evidenziare quali cambiamenti tocchino in profondità l’attuale modello parrocchiale provocandone una reale e decisa conversione.
PRIMO FONDAMENTO: “COME IO HO AMATO VOI”
È il comandamento dell’Amore, che sta alla base dell’esperienza cristiana. Essa appunto si configura fin dalle origini come “esperienza”. La persona entra in relazione con il Signore Gesù Risorto e vive l’esperienza del Vangelo. Il cristianesimo non è anzitutto una religione, è un incontro personale.
Il problema è che nel tempo questa esperienza si è progressivamente “cristallizzata” in una religione, o meglio, in una cultura. L’esperienza cristiana è divenuta cultura cristiana. La viva relazione tra il credente e il Risorto ha lasciato spazio ai valori e alle norme. Così, oggi, si è cristiani se si condivide una serie di valori e se si rispetta un insieme di norme. Il cristianesimo è divenuto progressivamente una “scatola vuota”. L’esperienza si è cristallizzata in cultura e ha escluso la relazione personale.
Questo aspetto si accentua ancora di più se si considerano i cambiamenti che toccano il rapporto tra la persona e la religione (che qui per questioni di contesto non sono richiamati). In sostanza, se il cristianesimo viene concepito come religione o cultura, come insieme di valori o di norme, la parrocchia perde la sua rilevanza culturale in un contesto come quello attuale, che relega la cultura cristiana ai margini della società.
Occorre oggi perciò rimettere al centro l’esperienza vitale della relazione tra la persona e il Signore Gesù, ricreando nuove condizioni che la favoriscano. Occorre promuoverne una cura, affinché i cristiani possano rimettere al centro un’esperienza di salvezza e non fermarsi all’osservanza di una serie di valori o di norme.
SECONDO FONDAMENTO: “COSI’ AMATEVI ANCHE VOI”
La seconda parte del comandamento dell’Amore in un certo senso “incarna” l’esperienza dell’Amore di Dio nella vita ordinaria. Il Vangelo si diffonde e diviene esperienza prorompente di salvezza e di libertà attraverso una “prossimità”. Per questo la dinamica evangelica si diffonde testimoniando un’esperienza. E la testimonianza richiede tempo e spazi di condivisione della vita.
Il problema è che, nel caso della Parrocchia, la prossimità si è progressivamente cristallizzata in un territorio. La comunità cristiana, costituita giuridicamente in Parrocchie distribuite nei territori, ha acquisito nel tempo un’attenzione limitata ad uno spazio circoscritto. In altre parole: con chi vivere la testimonianza e la prossimità? Con quelli del mio paese, del mio quartiere. E questo ha garantito molte possibilità in passato e favorito la diffusione del cristianesimo.
Oggi però è cambiato il rapporto tra le persone e il territorio. Non esiste più una residenzialità così statica come nel passato. È cresciuta la mobilità delle persone. Il mondo è divenuto più piccolo. Così la Parrocchia è rimasta “piantata” su un territorio circoscritto, a volte insignificante dal punto di vista sociale, mentre attorno a lei le persone hanno iniziato a muoversi, mettendo in scacco il tema del “territorio” come tentativo di incarnazione della prossimità.
Occorre oggi rimettere a fuoco il tema della prossimità per far sì che l’esperienza cristiana ritorni a incontrare e a trasformare la vita reale e ordinaria delle persone. La comunità cristiana e i cristiani tutti sono chiamati ad effettuare perciò un passaggio decisivo: dall’abitare un territorio ad abitare il “terreno dell’umano”. Questo richiede decisamente una modifica del modello di Parrocchia attuale.
TERZO FONDAMENTO: “GLI UNI GLI ALTRI”
È il tema della comunità. L’esperienza dell’Amore di Dio, il Vangelo, porta il suo effetto quando tocca il terreno dell’umano e diviene luce, sale, lievito per tutti gli uomini, quando si incarna in una comunità. Questo è un tema ecclesiale.
Il problema è che la comunità parrocchiale nel tempo ha posto il suo centro nel “pastore proprio” (così come lo definisce il diritto canonico). I cristiani, progressivamente, hanno caricato il parroco di una responsabilità enorme in ordine all’evangelizzazione e la spinta evangelizzatrice si è cristallizzata in una sola persona. Diciamo pure che i laici cristiani hanno delegato al sacerdote ciò che è loro proprio in forza del battesimo.
Questo aspetto si lega al primo. Oggi è cambiato il rapporto tra le persone e le istituzioni. La Parrocchia (e con essa il parroco) non costituisce più un’istituzione rilevante. E ciò perché oggi non si tiene più conto dell’autorità, ma dell’autorevolezza. Perciò non può più essere autorevole una parrocchia dove la maggior parte dei suoi parrocchiani vivono il cristianesimo come cultura o come religione e non come esperienza. E, d’altro canto, non può più essere autorevole un parroco che tenta di testimoniare il Vangelo senza la sua comunità.
Occorre oggi spostare il baricentro della dinamica evangelizzatrice dal parroco alla comunità cristiana. Solo così sarà possibile restituire alla Parrocchia quella potenzialità generativa che aveva caratterizzato la sua origine.
Queste tre rivoluzioni appena descritte indicano la via per riscrivere un nuovo alfabeto della Parrocchia senza tradire i suoi fondamenti.
Cosa c’è che non va? (Stefano Bucci)
A partire da questa domanda può nascere una ricerca positiva di ciò che è fondamentale per la vita e per l’azione di un’istituzione come la parrocchia. Tenendo conto della sua storia si vuole ora andare alla ricerca di quei fondamenti evangelici che danno ragione al senso della sua esistenza e che dovrebbero orientare prassi evangelicamente rinnovate in grado di testimoniare oggi la bellezza del Vangelo.
Il dato biblico originario che fonda l’istituzione ecclesiale di una forma di vita comunitaria, di un ‘noi’ cristiano che si concretizza nel tempo e nello spazio, si riscontra fin dalle origini. Il Vangelo di Giovanni ci consegna i tratti distintivi della natura della Parrocchia: «Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (13,34-35). Al centro di tutto il Vangelo: il comandamento nuovo dell’Amore che per primo Dio ha mostrato all’umanità attraverso il suo Figlio Gesù Cristo. L’Amore è il centro propulsivo della relazione tra la persona e il suo Signore e diviene l’anima vitale della relazione tra i credenti. Tutto questo dà vita ad un dinamismo testimoniale. In questi tratti si scorgono i fondamentali della natura della comunità cristiana.
Il principio dell’Amore che prospetta il senso della comunità cristiana rivela due implicazioni basilari che è bene esplicitare:
a) Ciascuna persona e ogni comunità cristiana in genere non può essere auto-sufficiente;
b) Ciascuna persona e la comunità cristiana non possono essere il ‘tutto’ della Chiesa.
«Nel primo caso tutto sarà così dislocato e così raffreddato, che si finirà per gelare; nel secondo caso, invece, i legami dell’unità diventeranno così stretti e l’amore così geloso che si correrà il rischio di soffocare» (J. A. Möller, Dell’unità della Chiesa, o sia del principio del cattolicesimo secondo lo spirito dei Padri de’ primi tre secoli della Chiesa).
Per questi motivi, l’analogia preferita dalla Scrittura per delineare la comunità cristiana, è da identificarsi nell’organismo (1 Cor 12,1-31; Ef 4,1-16; Col 2,19). «La comunità ecclesiale si configura, più precisamente, come una comunione ‘organica’, analoga a quella di un corpo vivo e operante: essa, infatti, è caratterizzata dalla compresenza della diversità e della complementarietà» (G.P. II, Christifideles Laici, 20).
La natura della parrocchia, alla luce di queste prime riflessioni, si rivela orientata a mostrare all’umanità l’universalità del Vangelo e la cattolicità della Chiesa. Il Vangelo si attua in una relazione delle persone con il Signore e di riflesso dei credenti tra loro. Per questo la sua fecondità si realizza visibilmente nella vita della Chiesa che perciò abita in un territorio. In sostanza i due tratti tipici della natura della parrocchia sono legati a questi due aspetti:
a) Una comunità di credenti, che vivono la loro relazione con il Signore accogliendo il Vangelo e sperimentano la fecondità dello Spirito nelle relazioni con gli altri;
b) La prossimità reciproca di queste persone e di essi con tutti gli altri che si realizza visibilmente in un ‘terreno comune’. Vangelo nella Comunità e Comunità nel Territorio.
(…) La parrocchia è una comunità di fedeli determinata che nell’ambito di una chiesa particolare viene costituita stabilmente. La cura di questa comunità è affidata dal Vescovo ad un proprio pastore (Can. 515 – §1). Anche persone che non hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale possono partecipare alla cura pastorale di una parrocchia (Can. 517 – §2). Una o più parrocchie possono essere affidate in solido a più sacerdoti (Can. 517 – §1). Come regola generale la parrocchia dovrà essere legata ad un territorio, ma è possibile configurarla anche in riferimento ad altri criteri (Can. 518).
Come si comprende da queste norme, sapientemente flessibili, tenendo fermi i punti chiave costitutivi della parrocchia è possibile mettere in atto una creatività pastorale ampia nel ripensare un modello parrocchiale per l’oggi ecclesiale. E allora, ritorniamo alla questione iniziale: cosa c’è che non va? Il sospetto è che questa domanda possa trovare una risposta non tanto nelle forme o nell’organizzazione di una comunità cristiana in un territorio. Sono il senso stesso della comunità e del Vangelo ad essere cambiati per l’uomo di oggi. Perciò sarà necessario riscrivere un nuovo alfabeto parrocchiale caratterizzato da nuovi segni e da nuovi significati.
Le parrocchie... (Stefano Bucci)
Ripercorrere la storia della parrocchia può essere utile per mettere a fuoco il senso profondo della sua identità, per capire le ragioni del suo operare e per sperimentare, a partire da esse, nuove prassi cariche di Vangelo per il contesto attuale. È proprio la prospettiva dell’analogia con il tempo presente a caratterizzare questa serie di appunti storici. In altre parole si ritiene utile mettere in luce, tra la molteplicità dei tratti storici inerenti alla parrocchia, soltanto quelli che comunicano qualcosa di significativo per l’oggi.
L’origine della parrocchia si colloca in un tempo di profondi mutamenti culturali e politici, che si attuano in seguito alla pace costantiniana. Da questo momento in poi la vita delle istituzioni cristiane e la vita delle istituzioni civili entra gradualmente in un processo di sovrapposizione. L’organizzazione della vita civile in questo periodo è accentrata nelle città. La nascita delle prime parrocchie, nel IV-V secolo, avviene per rispondere alla necessità di una cura pastorale delle campagne. Interessante è notare che per affrontare un’istanza emergente dal contesto del tempo ci si riferisca al dato di fede – la natura stessa della comunità cristiana che deve trovare una sua forma concreta – e al dato antropologico, valutando adeguatamente la realtà.
Le tappe successive alla genesi parrocchiale possono essere messe a fuoco, semplificando, attraverso la messa in luce di alcune ‘derive’ a cui la parrocchia ha rischiato di prestare il fianco. Ciascuna di esse, però, ancora oggi trasmette un insegnamento importante.
Nell’epoca feudale la figura di parrocchia si ‘irrigidisce’ in relazione alle persone e ai territori che determinano la configurazione dell’ordinamento vigente. L’azione pastorale subisce la tentazione di schiacciarsi sulla ‘prestazione’ di un servizio verso un territorio o una persona potente (che dà un beneficio). È la deriva del funzionalismo a insidiare questo tempo. Essa mette in guardia la comunità cristiana dal ridursi ad una mera prestatrice di opere.
Il rinnovamento che avviene in epoca medievale nella società influisce positivamente sullo sviluppo delle parrocchie. La riforma gregoriana dà una nuova spinta evangelizzatrice alla parrocchia che acquista maggiore rilevanza in ambito sociale e culturale. Il modello di questa epoca è molto diversificato, ma si connota per una costante assimilazione di società civile e vita cristiana che aveva preso il via in epoca costantiniana. La cosa interessante da notare è che le spinte di riforma della parrocchia provengono per lo più dall’esterno: il modello dei comuni, da una parte, e la proliferazione degli ordini mendicanti, dall’altra, sollecitano la comunità cristiana a ripensarsi per rispondere al proprio mandato di evangelizzazione. Una deriva che insidia la vita parrocchiale di questo tempo è quella dell’‘adattamento’. Il modello parrocchiale muta in questo frangente non tanto per rispondere meglio al Vangelo, quanto invece per corrispondere al contesto. Questo portò ad una involuzione delle diocesi e delle parrocchie e a una decadenza ecclesiale che culminò nel Concilio Lateranense V (1512).
È a partire dal Concilio di Trento (1545-1563) che si apre una nuova fase per la vita delle parrocchie, consegnandoci un modello che risulta tutt’ora implicitamente determinante. In positivo questa spinta di riforma definisce i criteri della territorialità e il riferimento al pastore proprio, il parroco. La deriva che insidia questo processo risiede nella ‘burocratizzazione’. Al di là dei molti aspetti evangelicamente fecondi che questo modello prospetta ci sono alcuni nodi che impediscono alla parrocchia di far fronte ai profondi cambiamenti che seguiranno nell’età moderna, prima fra i quali il fatto che il presupposto di tale impostazione si basa su una società prevalentemente cristiana e sulla costante sovrapposizione tra società cristiana e società civile. Istanze che da questo momento in poi, subiranno una lenta ma inesorabile separazione.
La vita delle persone, sempre di più, si allontana dal vissuto della comunità cristiana. Nel secolo scorso, anche attraverso la spinta del Concilio Vaticano II (1962-1965), si riaccende l’interesse della riflessione teologica e pastorale sulla parrocchia. L’accento viene posto dal Concilio sulla comunità, anziché sul parroco, e sull’edificazione della Chiesa, anziché sulla cura delle anime. Ma questa direzione non viene colta e il modello parrocchiale tridentino resta pressoché immutato indebolendone la spinta evangelizzatrice.
Tutti percepiamo oggi la scarsa rilevanza che le nostre parrocchie rivestono per la vita delle persone e della società attuale. Con chiarezza sperimentiamo le crisi che attraversano una istituzione millenaria come quella della parrocchia, ma soprattutto segnano il vissuto delle comunità cristiane. Ci chiediamo: perché? Cosa ci siamo persi, ma soprattutto cosa ci sta suggerendo lo Spirito in questo tempo? Ripercorrere questi appunti di storia parrocchiale e interrogarsi sul senso della parrocchia potrà aiutare a riconfigurare un modello di comunità cristiana in grado di testimoniare la vita del Vangelo nel cambiamento e nella complessità del contesto attuale.
Dagli Scritti di Maccio
«Questo è quello che chiedo al tuo Vescovo e al tuo confessore:
IO, MISERICORDIA, voglio essere amato ancor più.
La Mia Incarnazione è dono della MISERICORDIA TRINITARIA!
La Mia Parola è dono della MISERICORDIA TRINITARIA!
La Mia Passione è il DONO della MISERICORDIA TRINITARIA!
La mia Risurrezione è il DONO della MISERICORDIA TRINITARIA!
IO SONO LA MISERICORDIA!
Desidero allora che, dalla domenica della mia Risurrezione fino alla domenica della festa di Me Misericordia, io resti visibile nel dono del mio CORPO DAVANTI A TUTTO il mio gregge, perché, meditando sull’immensità dell’AMORE NOSTRO, voi possiate realmente aprire il vostro cuore alla SPERANZA che vi salva, e vi dà certezza della vita che vi attende nella Luce TRINITARIA! ECCO COSA HA OPERATO LA MISERICORDIA. LA SPERANZA è certezza e vi salva tutti!
In quei giorni i miei pastori non si stanchino di incoraggiare il mio gregge alla Speranza della Vita Nuova donata! Si parli della Vita Eterna in cui tutti siete chiamati. Aprano tutti il cuore alla Speranza e a me Misericordia! La mia Resurrezione è per voi la Speranza che annienta il dolore, che dà un senso alla sofferenza, che la vostra libertà di allontanarvi da me, Misericordia, vi ha acquistato! Solo l’AMORE che SIAMO Noi poteva arrivare a tanto per la sua Creatura! Figli, vi aspetto nel mio cuore, il cuore della Trinità che è Amore, il cuore della MISERICORDIA che si è DONATA!».
Io chiedo che in quei giorni di gran gioia per la Pasqua che è Dono della mia MISERICORDIA, nella mia presenza nel mio Corpo e Sangue in mezzo a voi, si metta al centro dell’Altare Me Vivo Eucaristia, con al lato la Croce, che vi ricorda anche quanto riscatta la sofferenza che diviene Speranza che salva, e dall’altro l’immagine del mio Cuore MISERICORDIOSO, immagine della mia Risurrezione, che è il vostro premio, perché, guardando a me presente ora nel mistero, sappiate che già ora sono con voi tutti i giorni, ma guardandomi anche Risorto nella mia gloria, possiate essere certi che quell’uomo risorto sono Io Uomo, che vuole che là, dove sono Io, siate anche voi! Amate il Mio Cuore che brucia di Misericordia per voi! Figli Sacerdoti, parlate a tutti che la Mia Risurrezione è gioia, certezza e speranza per TUTTI!».
La Resurrezione...una promessa folle...e folli sono sicuramente tutti quelli che ti hanno creduto e continuano a crederti. È da folli perdonare, è da folli amare senza aspettarsi nulla in cambio, è da folli donare la vita... per chi...?
Ma sapete qual è la follia ancor più grande? La pretesa che questo Dio ha di continuare ad essere contemporaneo; continuare ad amare, essere ucciso e risorgere. Tutti gli avvenimenti storici, sono prigionieri del tempo in cui sono accaduti, al di là della risonanza che possono avere per secoli nel cuore degli uomini. I giorni della Pasqua di Gesù sono invece a noi contemporanei. E’ questa la “folle” pretesa di quell’uomo. Essere risorto vuol dire essere contemporaneo ad ogni momento della storia futura, ad ogni attimo di ogni uomo. Non semplicemente come un qualunque altro contemporaneo, ma come uno che è alla radice di ogni nostra azione e che cattura il nostro sguardo e il nostro cuore per darci il senso e il peso di tutto ciò che avviene.
Tu, nostro Dio. Tu sei un Dio folle…
Mi piace tanto questo.
Forse ciò vuol significare che tu hai corso dei rischi.
A volte io mi dico che se Tu fossi un vero Dio
non avresti dovuto lasciare morire tuo Figlio,
così, su una croce. Altre volte penso il contrario.
Amare così, amare fino a questo punto… Tu, Dio, sei folle! Sì!
Questo mi aiuta a dare ciò che ho di meglio di me stesso.
Mi aiuta ad essere un po' folle con i miei amici. Folle! Sì..
Perché anche amare se i tempi sono duri, ciò non ci impedisce di far festa…
Ah! È bello quando c’è i sole sul volto di ognuno…
Ma è davvero cosa folle desiderare la felicità di tutti? Dio folle destami!
Rendimi folle dei miei compagni. Folle della vita. Folle di me. E soprattutto di TE!!!
Lasciamoci invadere, catturare, riempire da questo Dio folle e sarà una vera Pasqua...ogni giorno.
SENZA COMUNIONE NON C’ E’ MISSIONE
Martedì scorso (27 febbraio), presso l’Oratorio di Dongo, si è tenuto per la nostra Comunità Pastorale il secondo incontro sul Libro Sinodale TESTIMONI DI MISERICORDIA.
Il Relatore don Alberto Pini, Vicario Episcopale per la Pastorale (e Direttore dell’Ufficio missionario diocesano), ha proposto ai presenti una riflessione in cui, oltre alla competenza, si è colta molta familiarità, affabilità e concretezza sia nella esposizione sia nelle conclusioni (anche e soprattutto perché queste ultime sono state poste in forma di domanda).
Don Alberto ha sottolineato subito un atteggiamento molto coinvolgente, tratto dal Vangelo: quello del ragazzo che offre cinque pani e due pesci e, questo, per sfamare migliaia di persone… ma era tutto ciò che il ragazzo aveva e li ha messi nelle mani di Gesù, che stava compiendo la missione affidataGli dal Padre.
Anche la nostra Comunità Pastorale si inserisce in un cammino iniziato: la missione indicata e affidata a tutta la Diocesi dal Sinodo.
Non è possibile però svolgere questa missione senza COMUNIONE: nella realtà attuale in cui le persone sono sempre più disorientate, in cui le relazioni si vivono più frequentemente con animali o cose e in cui però il desiderio di comunione emerge sempre e comunque, la Bibbia ci svela la fonte di questo intimo desiderio: poi il Signore Iddio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo…” (Genesi 1,18).
Le domande-impegno sorgono immediate: Dove trovo comunione nella mia vita? Cosa ostacola la comunione?
La vocazione della Comunità Pastorale (la nascita delle prime risale a oltre 40 anni fa e oggi il 90% delle parrocchie sono riunite in Comunità) è di essere casa della comunione: le Comunità devono brillare per l’intensità delle relazioni umane.
Fondamento della Comunità è l’attenzione rinnovata e estesa al territorio, metodo è la collaborazione fraterna.
La parola Comunità deriva dal latino: cum (= con) munus (= dono, ma anche dovere, responsabilità).
Comunione esprime ciò che ci collega: fa riferimento a Dio e ci lega coi fratelli; ha una sorgente: il mistero di Dio Trinità Misericordia, che si dilata e comprende tutti noi.
Pertanto la Chiesa deve manifestare questo volto: il cristiano ascolta la voce di Dio, permette che lo Spirito agisca in lui per manifestare la comunione, non lascia fare, non sta alla finestra, sta in mezzo alla gente, partecipa, sa “compromettersi”. La Comunità Pastorale riunisce le forze dei cristiani e le “spalma” su tutti.
Don Alberto ha posto in conclusione queste domande-impegno per tutti i credenti della nostra Comunità Pastorale:
Riusciamo a trovare un ambito da dove partire per “tirarci insieme”?
C’è disponibilità a collaborare con i fedeli delle altre parrocchie?
La responsabilità di tutti noi è che la Fede resti nella nostra zona.
I punti cardine: •Meditazione sulla Parola di Dio •Eucaristia - •Carità.
Incontro con don Stefano Cadenazzi, segretario del Sinodo Diocesano.
Giovedì sera il nostro oratorio ha ospitato il Delegato Vescovile per l’XI SINODO che si è svolto nella nostra diocesi con la sua apertura il 31 agosto 2017 e concluso nel maggio 2022. Don Stefano Cadenazzi è venuto tra noi portandoci una grande novità : aiutarci ad aprire una grande finestra dentro le nostre comunità ritrovandovi così sguardi e volti trasformati da una nuova Conversione, quella della “GIOIA”!
Convertirci, cioè rivoluzionare, attuare cambiamenti, rivedere le conversioni a cui siamo chiamati, suscitando il desiderio di camminare insieme consapevoli che siamo dentro una profonda trasformazione culturale e sociale. Non sono state presentate ricette o soluzioni facili o novità eclatanti; l’unica vera novità è la novità della vita cristiana. Vogliamo che la vita delle nostre comunità esprima la gioia del Vangelo? Allora lasciamoci catturare dalla novità di questo Sinodo. Ripartiamo dal nostro Battesimo puntando su GESU’, (conversione ha a che fare con convergere, convergere su Gesù) l’Essenziale riconoscendo il primato del dono che già ognuno di noi ha ricevuto : “La Grazia”. E’ Gesù stesso che all’inizio della Sua Missione ci esorta :”Convertitevi alla gioia del Vangelo, accogliete la Buona Novella”!
La CONVERSIONE non ha come primo movimento il FARE, il trovare strategie vecchie o nuove perché i numeri tornino a crescere. Conversione è anzitutto riconoscere ciò che abbiamo ricevuto, il dono della Fede, riconoscere e rimettere al centro Gesù; la conversione principale sta nel cuore, nello sguardo e nella testa.
Dopo un riassunto di come hanno lavorato i sinodali, don Stefano ha fatto scorrere alcune pagine del libro contenente gli orientamenti pastorali invitandoci a sostare in modo particolare sulle prime due parti : RICONOSCERE E INTERPRETARE.
RICONOSCERE la fonte della Misericordia, nome stesso di Dio ed essere noi suoi messaggeri ascoltando i segni e i sogni di questo tempo. Volgere lo sguardo alla ricca storia di santità antica e nuova che ha visitato il nostro territorio, una storia che ci consegna delle responsabilità (… Guanella, Chiara Bosatta, Rebuschini, Spinelli e quel colore rosso che tanto ci caratterizza: don Renzo Beretta, suor Maria Laura Mainetti, e don Roberto Malgesini ). Sentire una forte protezione della Vergine Maria. Con la sua presenza ha lasciato nei vari Santuari dimostrazione di Grande Amore, Cura e Fedeltà (anche qui nella nostra comunità pastorale). Valorizzare l’intervento della TRINITA’ MISERICORDIA di Maccio che porta in sé un messaggio molto interessante rivolto alla Chiesa Universale. Questi Santuari, visitati da tante persone per turismo o pellegrinaggi possono diventare luoghi di nuovo annuncio.
INTERPRETARE. Missionarietà : tornare a rileggere gli Atti degli Apostoli…”erano assidui nella preghiera e nell’ascolto della PAROLA...” In questa seconda parte emerge il BATTEZZATO, colui che è chiamato a vivere l’annuncio e a portarlo. Cristo è il primo missionario che ci viene incontro. Una grande sfida ci aspetta: trasmettere la FEDE. Sinodalità: è quanto Gesù si attende dalla sua Chiesa, studiare insieme con delicatezza, laici e consacrati l’essere annunciatori della Gioia Evangelica. Ministerialità: non un sinonimo di potere, ma di servizio. Il Vescovo ci propone tre nuovi ministeri: accoglienza (nata al tempo del Covid), consolazione e compassione. San Paolo esorta a portare i pesi gli uni degli altri.
SCEGLIERE - la terza parte del libro dà indicazione che già esistono, valutare le realtà delle nostre comunità e chiederci cosa serve. Ha segnalato l’importanza della prima proposizione :”Centralità dell’ Eucarestia” e la trentaquattresima che parla del compimento del Regno. Noi, adesso, ci troviamo nel mezzo di questo cammino.
Facciamoci aiutare dall’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium perché è da lì che è scaturito il contenuto del Sinodo. La storia è nelle mani di Dio ed è Lui che la porta avanti, affidiamoci allo Spirito Santo e a Maria Santissima con l’impegno di sostenerci a vicenda nella preghiera reciproca.
Continueremo la nostra riflessione martedì 27 febbraio alle ore 20:45 con don Alberto Pini, vicario episcopale per la pastorale.
Sinodo sulla sinodalità.
È terminata il 29 ottobre la prima sessione dell’assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che ha continuato il processo sinodale aperto il 9 ottobre 2021. Dopo le tappe diocesane, nazionali e continentali e in vista della seconda sessione dell’assemblea che si terrà a ottobre dell’anno prossimo; è stata diffusa l’attesa relazione di sintesi dei lavori che sono stati portati avanti in questo mese da vescovi, diaconi e presbiteri, consacrate e consacrati, laiche e laici, testimoni di un processo che intende coinvolgere tutta la Chiesa. Il documento, intitolato Una Chiesa sinodale in missione, raccoglie gli elementi principali emersi nel dialogo, nella preghiera e nel confronto, secondo uno stile, quello della sinodalità, che si sta cercando di imparare.
I lavori si sono svolti seguendo la traccia offerta dall’Instrumentum laboris, identificando e rilanciando le questioni ritenute prioritarie e i temi bisognosi di approfondimento. Questa relazione, infatti, è uno strumento al servizio del discernimento che dovrà essere fatto conseguentemente. Essa è strutturata in tre parti: “Il volto della Chiesa sinodale”, sui principi teologici che illuminano e fondano la sinodalità; “Tutti discepoli, tutti missionari”, riguardante coloro che sono coinvolti nella vita e nella missione della Chiesa; “Tessere legami, costruire comunità”, sulla sinodalità come insieme di processi e rete di organismi che consentono lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo.
Venti capitoli sono suddivisi in queste tre parti e ognuno di essi raccoglie: le convergenze, ovvero i punti fermi a cui la riflessione può guardare; le questioni da affrontare, quindi ciò che necessita di ulteriore approfondimento teologico, pastorale, canonico; le proposte, possibili piste da percorrere suggerite, raccomandate o richieste con determinazione. I 273 punti sono stati approvati a larghissima maggioranza dall’assemblea sinodale, con consensi quasi sempre ben oltre il novanta percento. Tra i tanti argomenti toccati ci sono la sinodalità («La ricchezza e la profondità dell’esperienza vissuta conducono a indicare come prioritario l’allargamento del numero delle persone coinvolte nei cammini sinodali»), l’iniziazione cristiana («rendere il linguaggio liturgico più accessibile ai fedeli e più incarnato nella diversità delle culture»), il ruolo dei laici («I carismi dei laici, nella loro varietà, sono doni dello Spirito Santo alla Chiesa che devono essere fatti emergere, riconosciuti e valorizzati a pieno titolo»). (tratto da www.retesicomoro.it).
La relazione di sintesi completa è disponibile su www.synod.va
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